Se un occhio potesse osservarli tutti adesso, li vedrebbe contemporaneamente, i tanti portalettere italiani, con passi differenti e diversa altezza, colore dei capelli, occhiali da sole e da miopi. Passi diversi, tutti in movimento, frenetici su giroscale deserti, impettiti in attesa davanti al cancello di una palazzina residenziale, fermi sulle soglie degli appartamenti, attraversare in bicicletta una cittadina della provincia fischiettando, dentro le auto di servizio nelle vie di città o negli scooter lanciati sui rettifili, lentamente avanzare a velocità ridotta sulle stradine solitarie di una campagna con prati verdi e alberi secolari.
Sanno dei morti, quelli che non ci sono più, li ricordano ogni volta che arrivano sulle soglie degli appartamenti, sbirciano una fotografia appesa alla parete, conoscono gli avi dai molti racconti dei parenti sopravvissuti, alcuni di loro hanno visto nascere i figli dei figli di quelli che se ne sono andati, contano le somiglianze. Se volete sapere di un certo Gregorio, un notaio del Centro Italia, il suo portalettere sa che andava in vacanza ogni anno a Ginevra e che era scapolo. Alcuni dicevano avesse una donna da quelle parti, altri avrebbero giurato una figlia illegittima avuta con una donna della borghesia lombarda, s’erano fatte parecchie congetture ma sul manifesto funebre c’era solo il nome di un lontano nipote. Ecco, quel notaio era abbonato a riviste di storia e numismatica, aveva un boxer tigrato dal muso nero, fumava toscani, antichi toscani, e prima delle feste comandate potevi star certo che ti aspettava sulla soglia, e quando arrivavi all’altezza dello zerbino sfilava dal portafogli una bella banconota e te la dava in mano dicendoti: “Auguri postino”.
Angelo Ferracuti ha seguito questo esercito di portalettere per città, villaggi e contrade, raccogliendone le esperienze e i racconti per restituirci le trame imprevedibili di un paese e di un popolo in movimento.
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### Recensione
**In giro per l’Italia a consegnare lettere (in barba al computer)**
*Giorgio Fontana*, Tuttolibri – La Stampa
In una società dove la comunicazione si è fatta per gran parte digitale, i postini vivono la resistenza della sua modalità scritta: regolarmente scendono per strada e consegnano documenti, cartoline, pubblicità, avvisi di pagamento, qualche ormai rara lettera privata. Per quanto elusiva sia la loro presenza, basta considerarla un istante per coglierne integro il fascino. Lo sa bene **Angelo Ferracuti**, che ha esercitato tale professione per anni: e dalla quale ha tratto spunto per un bel libro sull’Italia dal titolo ispirato a Piero Ciampi ― *Andare camminare lavorare*. Sei mesi di viaggi nel Paese delle città e della provincia, delle periferie e dei centri storici.
**Ferracuti** prende i portalettere come strumento privilegiato di osservazione, grazie alla «loro capacità di visione e immedesimazione nel corpo sociale, la potenza di penetrazione nei ventri diversi di città e paesi, persino nell’interiorità segreta, misteriosa delle persone». Emanazioni di un’azienda capillare ― di sicuro quella più presente sul territorio ― i postini sono una chiave per aprire mondi: nella zona a loro deputata conoscono tutti, maneggiano il proprio contesto come nessun altro.
Ma l’aspetto più affascinante del libro è la sua molteplicità di piani. Come definire questo Andare camminare lavorare? Di certo si tratta un reportage narrativo. Poi un piccolo assaggio della realtà quotidiana dei postini in Italia. Ma è anche un grande viaggio paesaggistico e sociale, persino un tuffo nel carattere italiano e nelle sue declinazioni. E infine un tour letterario: fra le pagine compaiono riferimenti a Guareschi, Buzzati, Morante, Pavese, Bianciardi, Masatronardi, Biamonti, Alvaro e altri ancora.
Non è facile scegliere fra i tanti scorci dipinti con bravura e con un tocco da «camera a mano» che sembra seguire il movimento continuo dei portalettere. Ma anche un florilegio impone l’uso della prima plurale, da tanto queste storie sembrano appartenerci. Ci rechiamo dunque al campo nomadi di Alba, dove Giovanni sceglie di recapitare lì «per senso etico, perché altri colleghi non volevano venirci». Ci viene presentato Dante, il portalettere del comune più alto d’Italia ― Trepalle in Lombardia ― che arranca nella tempesta invernale. Vediamo l’Italia degli immigrati a Ventimiglia e in Puglia, e quella degli emigrati: la vita difficile dei giovani a Paola in Calabria, raccontata da Carmela. Finiamo nei boschi di Predazzo solcati da Barbara, da cui proviene un abete pregiato usato per costruire violini: un legno che lei «sente come una cosa preziosa che ormai fa parte della sua vita, quella di chi ogni giorni si ferma nella caserma della forestale prima di riconquistare la valle e il paese». Andiamo in giro per Murano con Beniamino. Sappiamo della tesi di laurea in Farmacia sul rischio d’inquinamento cui sono esposti i postini bolognesi, scritta dalla portalettere locale Rosalba. Ascoltiamo le straordinarie storie di zio Vik, il postino del porto di Genova ― «un piccolo mondo antico meraviglioso dove il tempo si è fermato, e le persone sono tutte quante di famiglia».
E ancora giriamo per la Prato cinese con Alessio e la Porto Recanati multietnica di Alessandra, posti dove è molto complicato gestire le consegne; sbirciamo la Roma del centro storico e quella pasolinana di Pietralata; ci perdiamo nei vicoli dei Quartieri Spagnoli di Napoli, nelle terre deserte del Molise. E scopriamo ― uno degli aneddoti più belli ― che l’arrivo dei postini all’Aquila dopo il terremoto nelle tendopoli venne percepito un segnale che la vita stava tornando, lentamente e faticosamente, a un po’ di normalità.
### Sinossi
Se un occhio potesse osservarli tutti adesso, li vedrebbe contemporaneamente, i tanti portalettere italiani, con passi differenti e diversa altezza, colore dei capelli, occhiali da sole e da miopi. Passi diversi, tutti in movimento, frenetici su giroscale deserti, impettiti in attesa davanti al cancello di una palazzina residenziale, fermi sulle soglie degli appartamenti, attraversare in bicicletta una cittadina della provincia fischiettando, dentro le auto di servizio nelle vie di città o negli scooter lanciati sui rettifili, lentamente avanzare a velocità ridotta sulle stradine solitarie di una campagna con prati verdi e alberi secolari.
Sanno dei morti, quelli che non ci sono più, li ricordano ogni volta che arrivano sulle soglie degli appartamenti, sbirciano una fotografia appesa alla parete, conoscono gli avi dai molti racconti dei parenti sopravvissuti, alcuni di loro hanno visto nascere i figli dei figli di quelli che se ne sono andati, contano le somiglianze. Se volete sapere di un certo Gregorio, un notaio del Centro Italia, il suo portalettere sa che andava in vacanza ogni anno a Ginevra e che era scapolo. Alcuni dicevano avesse una donna da quelle parti, altri avrebbero giurato una figlia illegittima avuta con una donna della borghesia lombarda, s’erano fatte parecchie congetture ma sul manifesto funebre c’era solo il nome di un lontano nipote. Ecco, quel notaio era abbonato a riviste di storia e numismatica, aveva un boxer tigrato dal muso nero, fumava toscani, antichi toscani, e prima delle feste comandate potevi star certo che ti aspettava sulla soglia, e quando arrivavi all’altezza dello zerbino sfilava dal portafogli una bella banconota e te la dava in mano dicendoti: “Auguri postino”.
Angelo Ferracuti ha seguito questo esercito di portalettere per città, villaggi e contrade, raccogliendone le esperienze e i racconti per restituirci le trame imprevedibili di un paese e di un popolo in movimento.